Da un’epoca di industrializzazione e centralizzazione stiamo forse passando ad un’epoca di decentralizzazione globale?

Oggi parliamo dei trend negli anni a venire: se vuoi puoi approfondire sul discorso che abbiamo fatto l’ultima volta. Ma puoi anche partire da qui.

L’online è narrazione pura

È individualismo, ma è in qualche modo anche decentralizzazione. L’unico utente desidera avere un grande potere (a nessuno piace la censura) e ora sa che può interagire con chiunque e fare quasi tutto virtualmente.

Questo rende i sistemi in qualche modo anche decentralizzati.
Perché l’unico utente non sarà mai un ente o il “sistema centrale”.  Ti risuona qualcosa?
Ti faccio due esempi:

Se ora posso lavorare a casa, che differenza c’è se anziché sul tavolo di casa sono sul tavolo di una casa a Bangkok?
Se ora ci si può laureare online, perché dovrei frequentare una scuola vicina e non partire per il mondo mentre studio?


Questi due semplici esempi post-lockdown raccontano di un mondo che ha perso in certo senso quella che per molti era una catena, ed ora mancano molte reason why, i perché rimanere in certi sistemi.

Decentralizzato: non solo nelle criptovalute!

Anche se la parola centralizzato si associa di solito ai bitcoin perché non ha intermediari o un ente centrale che regola tutto, penso sia interessante ampliare il suo significato ad un sistema che gradualmente sta perdendo la connessione forzata da un ente centrale, proprio come non si va più ritirare un pacco alle poste se si può far consegnare a casa.

Credo che in questi trend, come è stato il cypherpunk per le cripto, potremo trovare un possibile spaccato del futuro in evoluzione. Dopotutto, siamo in un momento di grande cambiamento.

Credo che solo chi nel cambiamento ha il coraggio di abbracciare il nuovo, aprirsi alle nuove possibilità e opportunità potrà scovare qualcosa di straordinario.

Una vita libera, per me, non può esserci se si rimane incastrati in scelte limitate o che diventano obsolete. Per essere liberi abbiamo bisogno di fare scelte libere.
E le scelte libere derivano dalle nostre conoscenze del mondo intorno – sempre con una mente aperta!

Vediamo allora cosa possiamo imparare dai possibili nuovi trend mondiali degli anni a venire.

1° TREND
Criptovalute, De-Fi: cos’è tutto questo entusiasmo (e tecnicismi)?

Siamo per le cripto e la De-Fi nello stesso momento in cui Internet era popolato inizialmente da specialisti e “smanettoni”, dove i tecnicismi dilagavano e anche il senso di misticismo.

Man mano che internet si è aperto a tutti, siamo arrivati alle generazioni di nativi digitali e “naturalizzati digitali”. 

E proprio come Internet, fare uno sforzo attivo per entrarci probabilmente ripagherà allo stesso modo dei primi che hanno messo a frutto la capacità di diffusione di Internet come Amazon o Google.

Il cambiamento è già su scala mondiale: dai sindaci cripto ai governi che iniziano a cercare di metterci le mani, alcuni tentando di scardinare i pericolosi concetti di libertà alla base, la tecnologia blockchain sta rivoluzionando più settori di quello finanziario.

Inoltre, soprattutto le cripto, hanno messo a nudo la verità: se non c’è corrispondente aureo, il soldo è solo una valuta di scambio accettata, una forma meno rudimentale del baratto.
E allora perché posso usare solo il dollaro o l’euro? Con internet posso creare un movimento così ampio e una tecnologia abbastanza potente da mettere d’accordo milioni di persone nell’uso di una nuova valuta.

E mentre lo faccio abbatto la barriera d’entrata per i prestiti e i servizi finanziari, cancello la censura, rendo tutto completamente anonimo ma estremamente sicuro e disponibile a tutti.

La vecchia catena della centralizzazione è caduta dal momento in cui la parità aurea è stata tolta da Nixon. Proprio come la DaD e lo smart working, ora mi chiedo, perché dovrei rimanere con te? Perché dovrei usare la tua moneta centralizzata?
Perché, se posso fare molto meglio?

Trend

Anonimato, sicurezza, accessibilità, democratizzazione finanziaria, decentralizzazione, eliminazione di terze parti.

Opportunità

La tua attività potrebbe beneficiare dall’integrazione di alcune tecnologie de-fi o delle cripto stesse? 

Con una forte comunità dietro, potrebbe essere uno strumento decisivo e in linea con l’identità e il brand. 

Ad esempio l’accettazione di alcune criptovalute, l’apertura a nuovi campi online per migliorare od ottimizzare alcuni processi o altro potrebbero distinguerti e raccontare meglio la tua identità.

2° TREND
Social media, non nuovi ma rinnovabili

Non è proprio un trend decentralizzato, visto che le teste dei social media ora fanno censura, politica e potere allo stesso livello dei governi, ma è interessante notare cosa potrebbe diventare.

I social media ci hanno reso tutti speaker e creatori di un pubblico (potenzialmente) ampio.
Lasciamo stare ora la mancanza di educazione da parte della società su questi poteri.

È interessante invece notare sempre come anche nei social media ci sia la percezione di libertà di espressione come diritto e ci sia fastidio all’intromettersi di censure o politica superflua. Succedeva forse questo con la tv, con i giornali stampati o con la radio?

Poteva una ragazza desiderosa di cambiare la visione sugli standard di bellezza diventare amata da migliaia di centinaia di ragazze andando dalla Rai e facendo vedere loro le sue smagliature?

Poteva un ragazzo sconosciuto con un talento per i dolci diventare ammirato globalmente chiedendo di postare le sue foto su un ente televisivo, senza mai far vedere il suo viso?

Potevano donne e uomini di qualsiasi età diventare qualsiasi cosa senza l’approvazione, gli anni e le conoscenze all’interno dei settori e salire così in alto senza scendere ai compromessi degli enti con molto più potere?

Il potere che abbiamo non è ancora stato realizzato pienamente da tutti rispetto a quello che avevamo prima.

Social decentralizzati, potrebbero esistere?

Per ora certo i social non sono perfetti, né privi di censura o conosciuti per aver retribuito in modo adeguato i creatori che li hanno resi macchine da miliardi.
Cosa accadrebbe al “popolo” della nazione dei vari social media se diventassero decentralizzati? Nel bene e nel male?

Alcuni esperimenti del Web3 (l’internet decentralizzato) sono stati creati, ma con poco successo e tanta polemica, come quello che permetteva di minare cripto e ricevere guadagni. 

Non sono ancora pronti e forse non lo siamo neanche noi su larga scala, ma l’idea di creare piattaforme che siano libere dalla censura (uno dei principi del bitcoin) e che siano mirate a ricompensare equamente i creatori non è nuova. 

Dopotutto, per molti il lavoro su internet è uno a tempo pieno. E non si parla solo di influencer nel senso dispregiativo, ma di influencer, speaker, imprenditori e imprenditrici, visionari e visionarie, professionisti e professioniste che hanno fatto la differenza.

Retribuire creatori, artisti, influencer, speaker e molto altro per il loro lavoro è un diritto.
Basta pagare in prodotti? Non mi sembra che la Dyson paghi i suoi dipendenti in phon.
I problemi non smettono di esistere, si possono solo rimandare e ignorare fino ad un certo punto. 

La situazione potrebbe cambiare velocemente o gradualmente nel futuro.
Quando, non si sa, ma potrebbe essere legato alla diffusione del De-Fi. La tecnologia blockchain è nata nella finanza con il bitcoin, ma non è la sua unica applicazione. È ancora neonata rispetto al suo potenziale.

Trend

Storytelling, vicinanza, capacità di usare la propria voce, libertà di espressione, presenza, incisività.

Opportunità

Ci sono storie che non stai raccontando?

Ci sono opportunità perfettamente in linea ma che non stai sfruttando, come ad esempio la presenza con botta e risposta su Twitter a profili simili, l’uso di storie per coinvolgere o l’uso delle caption lunghe (che ora si usano) su Instagram per raccontare storie coinvolgenti?

Ma prima di tutto, che si dice veramente sul tuo campo? Di che si discute?
Non esistono delle vere regole: sono strumenti che modifichiamo in base alla nostra identità, e non il contrario!

3° TREND
Neologismi: oltre l’invisibilità

Se possiamo darci un nome, esistiamo.
E se esistiamo, possiamo fare cose nella società.

Sto citando in modo parafrasato Claudia Bianchi nel suo libro “Hate Speech: Il lato oscuro del linguaggio, dove parla proprio dell’impatto delle parole sulla nostra capacità di esistere nella società.

Il primo dei neologismi moderni a fare scalpore fu proprio “petaloso”.
Con un’infuocata discussione se una parola creata da un bambino di 5 anni avesse lo stesso diritto di entrare nel dizionario accanto a parole di derivazione nobile e latina come biologia.

Non è stata però la prima volta che si è acceso un dibattito su una parola, che nessuno obbliga nessuno ad usare. Ma il linguaggio tocca fortemente la nostra identità.
La crea, la distrugge e la modifica.

Molti si sono arrabbiati con la Crusca pensando che fosse una specie di ente in grado di censire e che poteva dire sì e no alle parole come il pollice di Cesare.
Ma, come ha sottolineato la linguista Vera Gheno (non con queste parole), in verità nessuno detiene questo potere.

Sono le persone a usare le parole e le parole usate dalle persone a finire nel dizionario.

Poi, vuol dire che la lingua è viva! Ad esempio l’italiano è una lingua ricca ed estremamente viva come poche. Oltre 150 neologismi vengono inseriti ogni anno nei dizionari, senza contare tutti quelli che vengono usati senza apparire o quelli che nascono e muoiono ma che vengono ricordati.

Parliamo due lingue diverse!

Anche i brand hanno colto al volo questo potenziale: ogni giorno potremmo trovare migliaia di hashtag e challenge nuovi, così come anche le cause sociali e molto altro.
Non è mica qualcosa di nuovo, ma la capacità di creare cose che possono fare cose dando loro un nome è aumentata esponenzialmente con internet.

Chi è un nativo digitale parla potenzialmente una lingua completamente diversa: buggato, lag, twittare, streaming, killare, streak, rispondere alle stories e molti altri sono termini comuni.

Per non parlare di riferimenti culturali a movimenti, termini per identificare comunità/etnie/orientamenti/identità, eventi, meme, discussioni e molto altro come:

  •  #metoo (movimento per le donne che hanno avuto esperienze di abuso etc.)
  • mylk (latte vegetale)
  • waisan/blaisan (asiatici “caucasici” o bianchi, asiatici neri)
  • fast fashion (moda a basso costo che ha impatti negativi sull’ambiente)
  • PoC (comunità di persone di colore)
  • plant-based (alimentazione a base di piante/vegetali)
  • flexitarian (come un onnivoro, ma che fa attenzione alle stagioni e alla sostenibilità)

O alle parole che hanno preso significati diversi da quelli originari, “storpiamenti” di parole o modi di dire: lit, fire, flex, sus, clap back, dead, slay, ghosting, on fleek, high key, ok boomer, vibe, on fleek, squad, glow up, tea, skrt, shook, salty, woke, mood, swerve, shade e molti altri.

E non abbiamo neanche toccato gli acronimi come yk, AITA, bae, brb, idk, tbh, imo, smh e così via!

Stiamo parlando di due lingue diverse, anche se abbiamo preso parole in inglese (usate anche dalle generazioni più giovani) troviamo lo stesso in italiano.

Spesso questo ovviamente mette a dura prova la comunicazione fra generazioni, che si sentono sconnesse l’una dall’altra. Ma quando si superano queste si scoprono opportunità che arricchiscono tutti.

Il cambiamento costante mette a dura prova l’apertura mentale di tutti e anche la capacità di incontrare con consapevolezza il diverso che esiste concretamente – ora che ha un nome. 

Trend

Autodeterminazione, potere, riscatto, accessibilità, opportunità, eliminazione del superfluo, arricchimento.

Opportunità

In che modo l’uso o la creazione di neologismi possono essere utili al tuo brand? 

Sapere che lingua parla il tuo pubblico significa essere concretamente interessati e in grado di comunicare. 

Sapere come coinvolgere la tua community (o crearla) o con chi lavori con l’uso di un linguaggio specifico significa creare terreno comune, accogliente e coinvolgente.
Inoltre l’uso di neologismi (senza esagerare!) è un atto di creazione. 

Con il naming e i neologismi possiamo creare contenitori emotivi pronti per essere riempiti e che possono entrare nella vita delle persone.

4° TREND
L’amore dei grandi brand per i piccoli brand

Proprio come il periodo green e ora della diversità, arriva anche l’amore a prima vista per i piccoli brand dai grandi brand. Giusto, sbagliato? 

Sicuramente avere più attenzione per la natura e per la diversità del pubblico (visto che i grandi brand soprattutto parlano ad un pubblico ampio) è ottimo. 

Così anche come l’attenzione ai piccoli brand per evitare di vivere in una copia su larga scala di Monopoly. Su questo, pollice in su.

Ma non voglio parlare di cosa sia positivo o negativo: da dove arriva questo trend?

Buy local: un motto del 2021

L’attenzione per i piccoli brand è arrivata, o anzi, aumentata soprattutto nei periodi di lockdown, dove le persone si trovavano più chiuse in casa e sono andate su Internet o nei negozi vicini. 

Si è ristretto tutto di scala, anche su internet (dogane, spedizioni rallentate) anche se amazon non ha smesso di vendere, anzi (ma amazon non produce tutto quello che vende).
Anche perché ha portato a più tempo online e più tempo per curiosare e scoprire altri brand che magari sono anche diventati popolari in questo periodo attraverso i social media.

In più la crisi delle piccole aziende, ma anche di quelle grandi, ha portato ad un’empatia generale mediatica verso chi si è trovato in questa situazione.
E visto che i team di marketing, branding, naming, comunicazione e varia dei grandi brand lavorano proprio con i trend per rimanere “vicini” alle persone, ora vediamo molti grandi brand che dicono di amare i piccoli brand. 

L’amore per le aziende e per i brand, l’ossessione del comfort legato ai grandi brand della pubblicità americana degli anni ‘50 post guerra sta forse svanendo.
Non proprio forse svanendo l’amore, ma la cecità sì. 

C’è anche un McDonalds

Un tempo poco si metteva in discussione dei grandi brand e l’arrivo di catene (e. ristoranti, negozi) era percepito come segno di progresso di una città.

Oggi forse questo sta cambiando. Con la progressiva scomparsa dei negozi brick and mortar, come vengono chiamati dagli americani, ovvero i negozi fisici, autonomi e spesso gestiti in famiglia (mom and pop store), ora si sente la mancanza, c’è un ondata di nostalgia.

Sono destinati a scomparire o ritornare? Se torneranno, non sarà sicuramente nella stessa forma. Con gli strumenti digitali, ora anche i piccoli brand hanno alla portata di mano strumenti che possono metterli sullo stesso piano.
Infatti possiamo dire che stiamo già assistendo al ritorno dei piccoli brand sui social media, negozietti divenuti virali e dove puoi tornare in contatto diretto con il negoziante.

Su internet nessuno sa che sei un cane*

Ma neanche sa se sei un piccolo brand, se sei affidabile, hai 100 negozi, nessuno, un magazzino enorme o una piccola boutique.
O almeno, puoi dare la percezione che preferisci, se sei abile.

Un immagine eclettica o chic può elevare lo status da brand sconosciuto a brand chic e popolare anche se in realtà magari non ha neanche una sede fisica.

Uno dei successi di Amazon deriva anche dal fatto che ospita moltissimi brand diversi, anche artigianali e piccoli, sulla sua piattaforma.
Dopo tanta centralizzazione ora si desidera più “decentralizzazione” del potere dei brand, infatti uno dei motti del 2021 è stato proprio “Buy local”.

 Non tutte le statistiche di vendita potrebbero per ora rispecchiare il motto, ma è un trend da tenere sott’occhio. Anche le abitudini d’acquisto si fanno più complicate, come racconta Google nel messy middle, con questo fisico e digitale che si mischiano e le opportunità che aumentano.

Trend

Empatia, contatto umano, novità, innovazione, sperimentazione, relazioni.

Opportunità

Può il tuo brand beneficiare di un’immagine più vicina alla realtà se è un brand piccolo e più locale, anziché emulare un grande brand? 

Come può dimostrare più umano nei fatti e nelle parole, più vicino alle persone? 

Anziché competere direttamente con brand diversi/grandi/multinazionali/rivali diretti, se sai chi sei non hai bisogno di competere, per usare le parole di Bernadette Jiwa.

A prescindere dalla dimensione della tua attività, tutti possono beneficiare di un approccio “umano”: dalla collaborazione con altre realtà minori per portare una ventata di novità alla spavalderia o coraggio che molti piccoli brand si possono permettere. 

*la frase famosa diventata uno dei primi meme “on the internet nobody knows you’re a dog”, presa dalla vignetta nel ‘93 disegnata dal fumettista di NYT Peter Steiner, in relazione a Internet e l’anonimato.

Sono gli unici trend? Certo che no!

Moltissime opportunità sono là fuori che attendono di essere scoperte, e magari anche nominate. 

Intanto questi trend si sono mostrati molto apprezzati un po’ da tutto il mondo e sicuramente possiamo imparare molto da loro e osservare l’impatto che hanno avuto, stanno avendo e forse avranno. Ad ogni modo, tutto lascia un segno.

Dipende come cogliamo le opportunità che si presentano.

Articoli simili

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *